Cause, tipologia, intervento, effetti, legislazione
La presente relazione dovrebbe, secondo i nostri intendimenti, servire per avere una breve visione di quelle che sono le problematiche connesse agli incendi nei boschi e le modalità di intervento sugli stessi, nonché per dare una breve informativa sulle vigenti disposizioni normative in materia.
Quella che segue, dunque, è un'esposizione senza pretese, scritta da un volontario che fonda le sue considerazioni prevalentemente sull'esperienza diretta personale e su quella che l'Associazione V.A.B. si è formata in più di venti anni di attività.
Cause dell'incendio e sua propagazione
Le cause che provocano un incendio di bosco possono essere stigmatizzate nel seguente modo: - cause naturali : sono considerate le eruzioni vulcaniche, il fulmine e l'autocombustione; mancando nella nostra Regione la possibilità materiale che si verifichi la prima ipotesi, e costituendo altresì il secondo caso un fenomeno, statisticamente parlando, molto limitato, la causa naturale è quella praticamente ininfluente, dal momento che si può escludere il fenomeno generativo dell'autocombustione.
Essa infatti può manifestarsi, almeno in Italia, solo laddove vi siano particolari situazioni non riscontrabili normalmente nei boschi: esempio-stereotipo è la discarica a cielo aperto di rifiuti solidi urbani, dove la fermentazione aerobica di alcune sostanze depositate può dare origine ad esalazioni gassose facilmente infiammabili, le quali, con il surriscaldamento dovuto alla radiazione solare, possono costituire facile esca ad incendi che, in ogni caso, rimangono spazialmente limitati alla sola area della discarica;
- cause antropiche : indicano quelle attività umane che vengono ad incidere, in modo determinante, sul verificarsi dell'evento calamitoso e che si distinguono, a seconda dell'elemento soggettivo dell'agente, mutuando la terminologia dal diritto penale, in:
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Ogni incendio, dovuto ad una delle classificazioni genetiche di cui sopra, si differenzia dagli altri per caratteristiche peculiari individuabili in esso: il tipo di bosco, l'ora, la stagione etc...; per fare un esempio, un incendio doloso, appiccato da un “professionista”, si svilupperà in un periodo particolarmente siccitoso, in contemporanea con altri nella medesima zona, di notte o in una giornata ventosa, su di una area fortemente boscata e con un'orografia tormentata e partendo da più punti diversi fra loro distanti.
La combustione
La combustione è un complesso di reazioni chimico fisiche irreversibili che liberano energia termica e luminosa; al di là della definizione, perchè possa aversi combustione è necessaria la presenza contemporanea di tre elementi:
- il combustibile che, nel settore de cui agitur, è costituito dal legno e dai materiali cellulosici che possono trovarsi in un qualsiasi bosco;
- il comburente che è l'ossigeno presente nell'aria e che serve a far ossidare le sostanze combustibli;
- l'energia di innesco costituente la quantità di energia (calore) necessaria ad iniziare la combustione.
Questi tre elementi possono - schematicamente - essere indicati in un triangolo avente gli stessi per ogni lato: in tal modo, interrompendo la continuità fra i lati si avrà il termine della combustione (visualizzata nell'area del triangolo medesimo). Questo concetto è meglio chiarito nella parte che tratta le modalità di repressione.
La combustione può verificarsi sia in un ambiente ricco di comburente (l'ossigeno appunto) e dar origine in tal caso alla fiamma viva, sia in situazione di scarsità di ossigeno e dar luogo alla cosiddetta pirolisi; negli incendi forestali si verificano regolarmente entrambe le situazioni, in quanto nella parte esterna del combustibile la combustione inizia con abbondanza di ossigeno (presenza di fiamma) mentre all'interno il calore si propaga per conduzione in situazione opposta (assenza di fiamma viva).
Possono influire sulla combustione anche altri elementi, quali la presenza o meno di un catalizzatore positivo (ad esempio alcuni particolari sali minerali) ed il tasso di umidità del combustibile.
Senza volere approfondire le differenze fra pirolisi e combustione viva, che peraltro sono notevoli sia per il tipo di reazioni che per la velocità con cui esse si verificano, basterà ricordare che la pirolisi è caratterizzata da svariate fasi, la prima delle quali ne consente la reversibilità, nel senso che sospendendo l'erogazione di calore la combustione si arresta.
Il legno morto, bruciando in situazione di ipossia (mutuando stavolta il termine alla medicina), trattiene all'interno il calore - reazione endotermica - per poi liberarlo successivamente - reazione esotermica - e ritenerlo di nuovo, terminando così il processo; mentre il legno vivo, già nella prima fase di reversibilità muore per la presenza di condizioni incompatibili con la sua vita.
La propagazione dell'incendio è più o meno rapida in funzione dei seguenti parametri:
- tipo di vegetazione : aghifoglie e latifoglie; resinose e non; presentandosi le fiamme su angoli acuti (aghifoglie) avremo una alta velocità propagativa, che aumenterà nel caso in cui la pianta sia una resinosa;
- fattori esterni : di particolare interesse sono il vento, l'umidità, la pendenza del suolo interessato, la temperatura ambiente, le precipitazioni atmosferiche precedenti.
Modalità di intervento repressivo
Le operazioni di estinzione dell'incendio forestale possono assumere configurazioni diverse a seconda del tipo di incendio, potendosi avere un attacco diretto o indiretto del fronte di fiamma ed un attacco da terra o dal cielo
1. attacco indiretto : si ha in tutti quei casi in cui, per l'intensità del fronte di fiamma, per la velocità di propagazione o per le particolari situazioni orografiche o meteorologiche, non è possibile aggredire l'incendio in modo diretto ma è consigliabile porre in essere delle operazioni repressive, per così dire, a distanza; avremo, quindi, un attacco indiretto:
2. dal cielo per mezzo di ritardanti , che consta nell'aspersione con liquido ritardante lanciato da mezzi aerei (vedasi le righe seguenti) dell'area boscata antistante il fronte di fiamma, di quella zona cioè ove si prevede si diriga il fronte stesso.
È opportuno, adesso, delineare brevemente, cosa sono i ritardanti ed in che modo agiscono: sono prodotti chimici che rallentano la combustione e si dividono in: |
3. da terra con controfuoco , che è un'operazione distruttiva consistente nell'accendere un altro fronte di fiamma che avanzi verso il fronte di fiamma principale che si vuole debellare, in modo da far scontrare le due linee di fuoco che vengono ad annullarsi reciprocamente per eliminazione del combustibile.
Il controfuoco (che può essere posto in essere in tre modalità diverse, due parallele ed una perpendicolare al fronte di fiamma) è una operazione particolarmente difficoltosa che richiede la creazione di una linea di sicurezza, atta ad evitare che bruschi cambiamenti direzionali del vento possano far sfuggire il fronte ausiliario; il controfuoco deve essere effettuato come ultima ratio, in situazioni di sovrabbondanza di personale addetto e deve essere autorizzato dal direttore delle opere di spegnimento individuato ai sensi delle vigenti Leggi).
4. attacco diretto che viene effettuato, al contrario, in tutte quelle situazioni che non presentino grosse difficoltà o in presenza di sufficienti mezzi aerei e terrestri. Per spiegare, in sintesi, le varie modalità in cui può concretizzarsi il presente tipo di attacco, basterà rifarsi al sopra esplicato triangolo del fuoco, dalla considerazione del quale si evince che per spegnere un incendio si può eliminare:
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Organi preposti alla lotta agli incendi e mezzi disponibili.
Due sono gli organi statali preposti alla repressione degli incendi nei boschi e due sono i Ministeri competenti: il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, facente capo al Ministero degli Interni, e il Corpo Forestale dello Stato, appartenente al neoformato Ministero per il Coordinamento delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (anche se - propriamente - dovremmo affermare essere l'unico competente, ex lege, il Corpo Forestale, essendo i Vigili del Fuoco chiamati ad intervenire solo nei casi in cui l'incendio degeneri, minacciando la pubblica incolumità o il patrimonio pubblico o privato).
Accanto a questi è presente tutta una serie di competenze demandate alle autonomie locali: Regioni, Province e Comuni che si avvalgono, spesso, delle Associazioni del volontariato organizzato alcune delle quali (come la V.A.B, la Racchetta , la Confederazione delle Misericordie, l' A.N.P.AS) hanno stipulato, in Toscana, una convenzione comune con l'Amministrazione regionale.
I mezzi a disposizione di tali forze a terra sono, per lo più, autobotti stradali o a trazione integrale e veicoli fuoristrada leggeri (Campagnole, UAZ, Land Rover etc...) equipaggiati con un particolare modulo antincendio - in gergo chiamato “TSK” dal nome del prodotto della ex Baribbi - formato da un serbatoio per l'acqua, una motopompa e uno o più naspi ad alta pressione.
Accanto a questi mezzi, distribuiti sul territorio fra V.V.F, C.F.S. e, soprattutto in Toscana, forze del volontariato, vi sono gli indispensabili mezzi aerei, i quali si distinguono in regionali e nazionali:
- i mezzi aerei regionali sono quelli a disposizione delle Regioni: o di appartenenza dei locali Distaccamenti del C.F.S. (come lo NH 500 di stanza a Cecina LI) o presi in appalto da aziende private; in Toscana, nel periodo estivo, vi sono sei elicotteri, quello suddetto della zona di Livorno più cinque aerei Piper per il servizio di avvistamento (questi ultimi devono essere caratterizzati da una bassa velocità di stallo e da ala alta onde permettere una ottimale azione di avvistamento).
Gli elicotteri sono equipaggiati con degli speciali “secchi”, detti benne, con capienza variabile (solitamente di 800 litri) con i quali viene presa l'acqua in fiumi, laghi, bacini artificiali all'uopo predisposti, e viene poi gettata direttamente sul fronte del fuoco;
- i mezzi aerei nazionali , coordinati dal C.O.A.U. (Centro Operativo Aeronautico Unificato) che sono:
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Come riconoscere un incendio e cosa fare
Sul come riconoscere un fumo di un incendio da quello di una ripulitura controllata si potrebbero scrivere trattati interi, senza raggiungere, nella pratica, un risultato soddisfacente; in linea di massima si può asserire che un incendio boschivo emette un fumo a base estesa, di colore scuro (ma non totalmente nero), grigiastro, denso, che aumenta di intensità progressivamente e si allarga rapidamente; mentre una ripulitura è, di solito, distinguibile perché la fumata mantiene una base limitata, a colonna, aumentando e diminuendo periodicamente di volume e intensità.
Se si avvista un fumo di dubbia provenienza (spesso gli incendi di bosco partono da quelli di terreni agrari incolti o da una semplice ripulitura) è necessario, in ogni caso, avvertire gli organi competenti specificando: la località il più precisamente possibile, se vi si può accedere con veicoli pesanti o solo con fuoristrada, se vi sono case o altre infrastrutture vicine, se si manifesta sotto linee elettriche (possibilmente, in tal caso, darne i numeri riportati sui piloni), se vi sono bacini idrici per il pescaggio degli elicotteri o colonnine per l'approvvigionamento dei mezzi a terra, ogni altra informazione ritenuta utile.
Trovandoci sul fronte di un incendio conviene, se si è da soli, avvisare il prima possibile ed attendere le squadre sul posto, per indicare la via di accesso: altrimenti, trattandosi di un principio, anche con una frasca è possibile iniziare l'opera di spegnimento, battendo le fiamme.
Sicuramente, per chi fosse interessato alla partecipazione attiva e coordinata alla operazioni di prevenzione e spegnimento degli incendi boschivi, il consiglio migliore che può essere dato è quello di iscriversi ad una delle numerose Associazioni e Gruppi che operano in Toscana; per la V.A.B. informarsi nella sezione concernente le sedi operative in Toscana. In tal modo sarà possibile frequentare corsi approfonditi di preparazione, essere regolarmente assicurati ed equipaggiati e rendere così un servizio ottimale per la salvaguardia del bosco.
Gli effetti di un incendio
Come un periodo siccitoso o eccessivamente piovoso, oppure attacchi parassitari o fitopatologie in genere, possono influenzare negativamente l'attività vegetativa della pianta, è di certo, a maggior ragione, ben deducibile che i danni causati dalla combustione sono solitamente i più gravi.
Quindi il fuoco può danneggiare irrimediabilmente l'intero ecosistema del bosco; se le fiamme si sono propagate unicamente nel sottobosco, con tempi di permanenza molto brevi, i danni sono limitati alla combustione della bassa vegetazione presente e delle sostanze organiche di superficie (humus); se, invece, sono state interessate le chiome degli alberi o il fuoco ha “covato” a lungo così da carbonizzare i tessuti delle piante, allora i danni sono sicuramente più gravi e provocano effetti durevoli nel tempo.
È quindi ben chiaro come il danno provocato dall'evento calamitoso, anche se circoscritto, interferisca con quelli che sono i cicli biologici del suddetto ecosistema: ad esempio l'annuale caduta delle foglie è, per il bosco, di primaria importanza ai fini della naturale produzione di sostanza organica (autoconcimazione); il manto di foglie che viene così a ricoprire il terreno, oltre che creare un naturale ed ottimale habitat per i microrganismi terricoli animali e vegetali, costituisce, in autunni particolarmente siccitosi, un ottimo vettore per il fuoco; esso riesce così a propagarsi velocemente in tutta l'area boschiva, distruggendo, al contempo, la sua stessa esca che significava vita per gli organismi che vi abitavano.
La combustione della sostanza organica provoca, quindi, un “impoverimento” del terreno che, in casi eccezionali, può raggiungere anche la sterilità (ad esempio un bosco che viene ripetutamente percorso dal fuoco).
Il fuoco modifica, quindi, il suolo che risulta alterato anche nelle sue caratteristiche chimiche: è provato che terreni acidi (a basso Ph), sottoposti a combustione, si sono, in breve tempo, trasformati in basici (alto Ph), facendo mutare così la stessa vegetazione della zona con conseguenti alterazioni anche sul paesaggio.
Altri tipi di mutamento si sono verificati a livello strutturale del terreno: spesso, infatti, le sostanze colloidali sottoposte ad innalzamenti della temperatura, induriscono per la perdita dell'acqua di costituzione.
I danni possono essere ben più gravi se il fuoco, propagatosi nel sottobosco, colpisce i fusti degli alberi raggiungendo così facilmente le chiome: in tal caso, oltre alla macroscopica conseguenza del danno diretto alle piante, si ha un'azione negativa anche sulla fauna che, solitamente, viene coinvolta.
È necessario fare, inizialmente, una distinzione fra animali con buone capacità di spostamento, che riescono a fuggire alle fiamme, e quelli che si spostano con lentezza e che, inesorabilmente, periscono.
Gli abitanti alati del fitto dei cespugli, delle chiome, che cercano rifugio nel loro ambiente più congeniale - che è però fatalmente il principale elemento di combustione - quivi trovano la morte; le penne e le piume dei volatili, infatti, si alterano facilmente anche a decine di metri di distanza dalla fonte di calore, pregiudicandone così le possibilità di movimento e di fuga.
Per la fauna boschiva, è facile perdere il senso dell'orientamento, senza così riuscire a trovare la giusta direzione di fuga (come nel caso del cinghiale e del capriolo).
Gli insetti, i rettili, gli anfibi, e tutti gli altri animali che si muovono lentamente nella macchia vengono perciò irrimediabilmente coinvolti: riescono invece a trovare scampo quelli animali che sono soliti rintanarsi in cunicoli sotterranei come la volpe, l'istrice, il riccio; essi però, se costretti dalle fiamme a rimanere nascosti per lunghi periodi, muoiono spesso per asfissia
Le ustioni.
Senza dilungarsi in un argomento certamente ampio e non di nostra competenza, sarà utile soffermare brevemente l'attenzione sugli effetti lesivi che le alte temperature possono avere su chi si accinga allo spegnimento di un incendio forestale.
La capacità lesiva dell'energia termica è legata alla proprietà che hanno i corpi di cedere energia termica ad altri corpi, con aumento o meno della temperatura; la propagazione del calore può avvenire per:
- conduzione : senza trasporto di materia, è tipica dei corpi allo stato solido (nel caso di specie toccando materiale incandescente o comunque caldo);
- convezione : con trasporto di materia, è tipica dei fluidi (non rileva nella materia di cui stiamo trattando);
- irraggiamento : senza necessità di alcun supporto materiale, stante la capacità dei corpi di trasformare parte della loro energia termica in energia elettromagnetica con emissione di radiazioni elettromagnetiche.
Gli effetti lesivi delle ustioni sono rappresentati da un'iperemia e da un aumento della permeabilità capillare, dal che derivano situazioni patologiche diverse a seconda del grado dell'ustione che può essere:
1. ustione di primo grado : è caratterizzato da arrossamento cutaneo (eritema) per l'iperemia e da uno stato di turgore della cute per l'edema;
2. ustione di secondo grado : sono presenti delle raccolte liquide sottoepidermiche (flittene) che possono rompersi esponendo il derma e provocando un'ulterore essudazone sierosa;
3. ustione di terzo grado : presenta fenomeni di necrosi profondi che generano delle escare che possono interessare non solo gli strati profondi del derma ma anche il sottocutaneo;
4. ustione di quarto grado : si manifesta con fenomeni di carbonizzazione che possono giungere ad interessare anche le strutture scheletriche.
L'addetto alle operazioni di spegnimento è esposto agli eventi patologici in esame, che possono assumere notevole gravità in rapporto alla superficie corporea interessata (espressa in percentuale), al tempo di esposizione ed all'intensità del calore.
Per ustioni lievi è necessaria l'immediata aspersione con acqua fresca ed abbondante, mentre sono da sconsigliarsi le pomate e gli oli (se non per ustioni puntiformi o quasi); in caso di ustione estesa è necessario coprire l'infortunato con un telo sterile (se disponibile) ed inviarlo al più vicino presidio ospedaliero
Legislazione vigente in materia
Note introduttive e pianificazione
Si può asserire che il problema degli incendi nei boschi sia sempre stato avvertito: partendo, infatti, da quella che può essere considerata la “preistoria” nella cronologia di questo annoso problema, troviamo il greco Diodoro Siculo il quale riporta che, sui Pirenei, “si verificarono incendi tanto gravi da far fondere i metalli contenuti nella terra”; in epoca a noi più vicina - e per arrivare all'argomento della normazione - sappiamo che Napoleone, per arginare i vasti incendi che tormentavano la Costa Azzurra, diede disposizione ai Prefetti di fucilare i colpevoli, e qualora essi non vi fossero riusciti, dispose la sostituzione dei Prefetti stessi.
Ancora, sono degni di menzione gli incendi (di proporzioni incredibili per noi) che colpirono, dalla prima metà del 1800 sino al periodo della seconda guerra mondiale, la Foresta Nera in Germania, la Svezia, la Danimarca, le Lande e lo Stato del Wisconsin, negli USA, ove un unico incendio interessò una superficie di 500.000 ettari di territorio causando la morte di 1.500 persone.
In seguito a tali accadimenti, si iniziò a parlare di pianificazione e di legislazione in materia: dopo un altro catastrofico incendio che colpì l'Australia, venne istituita una commissione con il compito di individuare le cause degli incendi e le misure di prevenzione, la quale portò alla emanazione dei Forest Act e dei Bush Fire Act; ancora, in Canada nel 1948 entrarono in vigore delle speciali misure di difesa del patrimonio arboreo (Forest Fire Prevenction Act) valide per l'Ontario, ed analoghi documenti vennero elaborati in Nuova Zelanda.
Questi atti, più che vere leggi in materia di incendi boschivi, sono documenti che parlano - come accennato - della pianificazione, menzionando anche quell'impiego particolare, e voluto, del fuoco che può essere definito “fuoco prescritto” ; negli USA infatti si passò da una totale esclusione di tale impiego (Fire Control) ad una considerazione del fuoco come elemento di gestione dell'assetto del territorio (Fire Management dal 1943 in poi); in Italia una tale idea non è mai stata recepita, e per la configurazione dei nostri boschi e per la loro estensione limitata rispetto a quelli di cui abbiamo parlato, con l'unica eccezione costituita dalla Legge regionale della Liguria n° 22 del 16 Aprile 1984 la quale lo permette al fine, notorio, di diminuire la biomassa bruciabile o di contenere parassiti vegetali o di stimolare la germinazione di alcuni semi etc... (come viene ammesso in Spagna, Portogallo, Francia, Grecia).
Legislazione vigente in Italia
Fondamentale per la comprensione e l'interpretazione della normativa in materia di incendi boschivi è, a mio avviso, l'art. 59 del Regio Decreto 18 Giugno 1931 n° 773 , cioè del famoso TULPS (Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza, di matrice fascista, abrogato per la maggior parte delle sue statuizioni divenute incostituzionali dopo il 1948) il quale elenca quelli che sono i divieti posti all'abbruciamento di stoppie:
“È vietato di dar fuoco nei campi e nei boschi alle stoppie fuori del tempo e senza le condizioni stabilite dai regolamenti locali e a distanza minore da quella in essi determinata. In mancanza di regolamenti, è vietato di dar fuoco nei campi o nei boschi alle stoppie prima del 15 agosto e ad una distanza minore di cento metri dalle case, dai boschi, dalle piantagioni, dalle siepi, dai mucchi di biada, di paglia, di fieno, di foraggio e da qualsiasi altro deposito di materia infiammabile o combustibile. Anche quando è stato acceso il fuoco nel tempo e nei modi ed alla distanza suindicati, devono essere adottate le cautele necessarie a difesa della proprietà altrui, e chi ha acceso un fuoco deve assistere di persona e col numero occorrente di persone fino a quando il fuoco sia spento”.
Tale norma, forse obsoleta in alcune sue parti, è però quella (potremmo sentirci di asserire) sulla base della quale sono state plasmate le successive Leggi analoghe e dalla quale prendono le mosse gli annuali decreti prefettizi che vengono emanati per limitare il rischio degli incendi boschivi: ovviamente si sono persi per strada tutti quegli espliciti riferimenti a quei beni privati (biada, fieno, foraggio etc...) che allora rivestivano un importanza oggi difficilmente comprensibile, e si è preferito, invece, sottolineare la ratio della difesa del bosco-patrimonio di tutti; effetto quest'ultimo della sensibilizzazione che si è fatta strada in proposito, anche a livello politico (anche se spesso con intento demagogico più che di reale difesa dell'ambiente).
Fondamentale è inoltre la: LEGGE 1 MARZO 1975 N° 47
intitolata “Norme integrative per la difesa dei boschi dagli incendi” , alla quale viene fatto costantemente riferimento, dagli organi preposti, per la risoluzione del contenzioso agro forestale.
L' art. 1 del titolo I predispone che i “ piani regionali ed interregionali articolati per province o per aree territoriali omogenee ... elaborati dagli organi competenti delle Regioni avvalendosi del personale tecnico del CFS, di intesa con il Corpo Nazionale dei VV.F, sentite le Comunità Montane, sono coordinati ed approvati dal Ministro per l'agricoltura e le Foreste di concerto con il Ministro per l'interno e con il Ministro per i beni culturali ed ambientali...” (Ministero, quest'ultimo, oggi affiancato, nelle competenze, dal Ministero dell'Ambiente).
Vediamo da qui quella sorta di delega alla legislazione regionale, (che sarà completata dal DPR 616/77 di cui di seguito) in base alla quale ogni Regione ha potuto organizzare il piano antincendio in modo razionalizzato in relazione alle esigenze locali e, soprattutto, notiamo quello sdoppiamento di competenze fra più Ministeri (come accennato in precedenza) che è, al contemnpo, funzionale al sistema e patologico dello stesso.
Il successivo art. 2 circostanzia quanto dovrà essere contenuto dai piani regionali di cui all'art. precedente mentre l' art. 3 elenca quelli che sono considerati “opere e mezzi per la prevenzione ed estinzione degli incendi boschivi” stabilendo che essi, se inseriti nei piani, sono a totale carico dello Stato.
Degno di menzione è l' art. 5 che istituisce il Servizio Antincendio Boschivo del Corpo Forestale dello Stato “articolato in uno o più centri operativi mediante gruppi meccanizzati di alta specializzazione e di pronto impiego”.
L' art. 6 definisce le competenze per l'avvistamento, lo spegnimento e la circoscrizione degli incendi che sono, in prima istanza, “compito delle autorità locali ... e precisamente delle sezioni forestali, delle stazioni dei carabinieri e dei comuni che sono congiuntamente tenute” fra l'altro “alla: ...(omissis)... immediata mobilitazione delle apposite squadre di volontari previamente organizzate...”; ancora il comma 3 prevede l'intervento dei Vigili del Fuoco allorquando (e solo quando , n.b.) “...l'incendio abbia assunto o minacci di assumere caratteri tali da non potere essere circoscritto e spento con le sole forze a disposizione degli organi locali...” costituendo questo punto una prima razionalizzazione di quella, più volte menzionata, pluralità di competenze dell'intervento repressivo.
Ancora fondamentale il titolo III dove, all' art. 9 comma 1 , si stabilisce la facoltà per le Amministrazioni Regionali di render noto, nei rispettivi territori, lo stato di grave pericolosità; il comma 3 , ad integrazione della Legge 30 Dicembre 1923 n° 3267 sul vincolo idrogeologico, pone - per il periodo in cui sia stata dichiarata la grave pericolosità - i divieti di: “accendere fuochi, far brillare mine, usare apparecchi a fiamma o elettrici per tagliare metalli, usare motori, fornelli o inceneritori che producano faville o brace, fumare o compiere ogni altra operazione che possa creare comunque pericolo mediato o immediato di incendio”; lampante è la derivazione dall'art. 59 del TULPS come prima ricordato.
Assolutamente meritevole di nota è l'ultimo comma dello stesso art. 9 , il quale deve essere ricordato in quanto rende possibile di sfatare la comune credenza (fuorviante e indicativa di qualunquismo metropolitano) secondo la quale si incendierebbero i boschi al fine della speculazione edilizia: “nelle zone boscate, comprese nei piani di cui all'art. 1 della presente Legge, i cui soprassuoli boschivi siano stati distrutti o danneggiati dal fuoco, è vietato l'insediamento di costruzioni di qualsiasi tipo . Tali zone non possono comunque avere una destinazione diversa da quella in atto prima dell'incendio”. Tale prescrizione è ripresa dalla utlima Legge regionale toscana emanata nel 1996 (vedasi appendice con la legislazione di settore).
In ultimo l' art 10 (richiamandosi alla già menzionata Legge forestale 3267 del 30 Dicembre 1923 nonchè agli artt. 423 e 449 del Codice Penale che ricorderemo poi) pone le sanzioni amministrative per chi contravviene a quanto disposto dal precedente art. 9, precisando che, in caso di violazione del divieto di edificare sulle aree bruciate, “....(omissis)... l'autorità giudiziaria dispone, mediante ordinanza provvisoriamente esecutiva, il ripristino, entro sei mesi, dello stato dei luoghi da eseguirsi a cura e a spesa del trasgressore in solido con il proprietario o il possessore. Trascorso il termine predetto, in caso di inadempienza, i lavori di ripristino sono eseguiti dall'autorità forestale e le relative spese sono anticipate dallo Stato con diritto di rivalsa”.
Dalla lettura di tale comma 4 del su richiamato art. 10 , emerge come il legislatore abbia voluto colpire (con precisa puntualizzazione) sia il trasgressore che l'avente diritto sul terreno in questione, con provvedimento immediatamente esecutivo, al fine di evitare, alla radice, il fenomeno della speculazione edilizia in seguito ad incendio doloso.
L' art. 11 comma 1 dispone quelle che sono le sanzioni amministrative da applicare ai casi di violazione dei divieti del comma 3 dell'art. 9, durante il periodo di grave pericolosità, stabilendo una somma compresa fra un minimo di Lire 20.000 ed un massimo di Lire 200.000; a tali cifre sono elevate anche le sanzioni previste dall'art. 3 della Legge 9 Ottobre 1967 n° 950 relative alle norme di prevenzione degli incendi boschivi previste nei regolamenti delle prescrizioni di massima e di polizia forestale.
Altra Legge, che ha portato - anch'essa - ad un inasprimento delle sanzioni, è la 4 Agosto 1975 n° 424 la quale, ha unificato le sanzioni alle cifre ora viste; stiamo parlando, è bene ricordarlo, di Leggi che trattano le ipotesi di accensione di fuochi controllati e non i casi di incendio colposo o doloso, per i quali vigono norme penali che inrogano sanzioni anche gravose che vengono computate calcolando le superficie percorse dall'incendio e il danno pecuniario arrecato.
L' art. 12 Titolo IV (Disposizioni finali), infine, precisa la copertura della spesa ai fini del bilancio.
Un accenno va ancora fatto al Decreto Presidente della Repubblica 24 Giungo 1977 n° 616 di attuazione della Legge delega di cui all'art. 1 della Legge 22 Luglio 1975 n° 382.
Detto DPR, all' art. 68 sopprime l'Azienda di Stato per le Foreste Demaniali (ASFD) trasferendo, al contempo, i beni della stessa “alle Regioni in ragione della loro ubicazione”, escludendo, da tale trasferimento alcune aree ed edifici tassativamente elencati; le Aziende di cui sopra continuano ad esistere (col nome di ex ASFD) con gestione regionale.
L' art 69 è basilare in quanto ultima quella delega alle Regioni che avevamo visto sopra: vengono infatti delegate anche le funzioni stabilite dalla Legge 22 Maggio 1973 n° 269 (sul commercio e la produzione di sementi e di piante di rimboschimento) ma, soprattutto, è espressamente prevista la delega alle Regioni stesse di quanto previsto dalla Legge 1 Marzo 1975 n° 47 prima commentata; le Regioni possono ora affidare la gestione dei beni forestali ad aziende interregionali, provvedono a costituire servizi antincendi boschivi, predispongono i piani di cui alla 47/1975; ancora, viene fatta salva la competenza statale - seppure d'intesa con le autonomie regionali - “... dell'organizzazione e della gestione del servizio aereo di spegnimento degli incendi...” (tramite il COAU, di cui abbiamo già parlato a proposito degli interventi dal cielo) nonchè “...l'impiego del Corpo dei Vigili del Fuoco...”, costituendo quest'ultimo un ulteriore momento di precisazione di quelle competenze che, all'inizio, avevamo affermato essere decisamente confuse e fluide, ma che vanno man mano delineandosi in modo più puntiforme.
Dunque, prescindendo da tutte le disposizioni normative che riguardano l'istituzione del Servizio Nazionale della Protezione Civile, e che vengono ad inerire - seppure marginalmente - col problema di cui stiamo trattando, è bene concludere ricordando la: Legge della Regione Toscana 1 Agosto 1981 n° 62 la quale, in un articolo unico, “... attribuisce al Presidente della Giunta regionale la dichiarazione dello stato di grave pericolosità di cui all'art. 9 della Legge 1 Marzo 1975 n° 47...(omissis)...” nonché la L.R.T. 52/73 recentemente abrogata la quale. ha anticipato, cronologicamente parlando, la legislazione nazionale del settore (che risale, con la 47, al 1975)..
Dall'analisi comparata delle normazioni analizzate, emerge, in modo lapalissiano, che il fulcro delle competenze in materia di incendi boschivi - e, più in generale, di pianificazione del territorio rurale e di forestazione - è affidato alle autonomie locali: in primis, alla Regione e, subito di poi, al Comune, individuato come primo momento di intervento sull'evento calamitoso (con le modalità prescritte); immediatamente dopo vi è lo Stato che, con le Prefetture e con il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, subentra allorquando l'incendio sconfina da quelle dimensioni che possono essere contenute dalle strutture a livello periferico.
Per quanto riguarda la normativa regionale toscana, la precedentemente ricordata L. 52/73 è stata abrogata dalla recentissima L.R.T. n. 73 del 13 Agosto 1996 che attribuisce importanti competenze alle Amministrazioni provinciali oltre che comunali, riprendendo però per la maggior parte il veccchio testo.
Per una visione più chiara di quanto qui solo accennato per la normativa più recente, si rimanda alla appendice contenente i vari testi di Legge sia in materia di protezione civile che antincendio.
Per finire, riterrei opportuno un accenno alla normativa comunitaria, ed in particolare al Regolamento CEE 17 Novembre 1986 n° 3529 , intitolato Protezione delle foreste della Comunità contro gli incendi , il quale prevede un cointervento sinergico degli Stati membri, l'elaborazione di relazioni da parte del comitato per la protezione della foresta - creato con regolamento CEE 3528/86 - lo stanziamento di finanziamenti appositamente iscritti nel bilancio delle Comunità Europee etc...
Degne di nota le considerazioni che precedono il Regolamento stesso, in qualità di parte motiva, laddove è stata riaffermata la funzione fondamentale che la foresta svolge “... per il mantenimento degli equilibri ... per quanto riguarda il regime delle acque, il clima, la fauna, la flora ...” e nella parte in cui si è dichiarata urgente ed importante la difesa del bosco stesso dal fuoco, una volta constatato che “... la foresta della Comunità è fortemente danneggiata dagli incendi e che questa aggressione ... registra un inquietante sviluppo...”.
Per finire, un accenno ai due articoli del Codice Penale che abbiamo prima menzionato:
- l' art. 423 comma 1 dice testualmente che: “chiunque cagiona un incendio è punito con la reclusione da tre a sette anni” precisando subito dopo che ciò si applica anche se l'incendio ha riguardato la cosa propria, se da esso è derivato pericolo per la pubblica incolumità.
- l' art. 449 comma 1 (del Capo III sui delitti colposi di comune pericolo) recita come segue: “chiunque cagiona per colpa un incendio ... (omissis) ... è punito con la reclusione da uno a cinque anni”; prevedendo il primo articolo l'ipotesi dell'incendio doloso e quet'ultimo quella del fuoco appiccato per incuria, disattenzione, mancanza o deficienza delle opportune misure di sicurezza.
Conclusioni
Se dunque consideriamo le potenzialità del bosco nelle sue varie funzioni, la necessarietà che esso riveste per la nostra stessa esistenza, l'aspetto paesaggistico, l'importanza essenziale che esso occupa nell'ecosistema, risulta ben chiaro quanto sia utile, nonchè imprescindibile, preservarlo dai danni che, troppo spesso, attività antropiche procurano più o meno direttamente.
Un'opera di sensibilizzazione dunque è da ritenersi fondamentale in capo al cittadino quivis de populo che deve, pertanto, adoperarsi affinché vengano rispettate quelle norme comportamentali che la coscienza del singolo, ancor prima che la Legge, dovrebbe dettare ad ognuno di noi, affinché i nostri figli, al pari nostro, possano godere di quell'irripetibile paesaggio naturale che ci è stato donato.
Relazione a cura di Guido Tozzi Pevere
per gentile concessione vab.it